Licenziamento collettivo.Mancato esperimento delle procedure ex lege 223/1991. Comportamento antisindacale.

(Tribunale di Palermo 19.10.2000 Dott. Pignataro,  FILCAMS-CGIL c. Sogea Metalli S.r.l).

 

 

 

 

 

 

 

TRIBUNALE DI PALERMO

SEZIONE LAVORO

Il Giudice

Letti gli atti e sciogliendo la riserva formulata del 13 ottobre 2000 nel procedimento ex art. 28 L. 20 maggio 1970, n. 300 promosso dalla F.I.L.C.A.M.S. - C.G.I.L., in persona del suo segretario provinciale, nei confronti della SOGEA METALLI s.p.a. con ricorso depositato l’8 settembre 2000:

OSSERVA

            La preliminare eccezione di difetto di legittimazione attiva della federazione provinciale della FILCAMS è infondata.

            Posto, infatti, che a norma dello statuto nazionale la FILCAMS si articola territorialmente nelle federazioni provinciali o comprensoriali (artt. 8 e 9) e che in base all’atto costitutivo della FILCAMS Palermo (art. 1), questa “è un’organizzazione sindacale di categoria che organizza a livello provinciale ... le lavoratrici e i lavoratori dipendenti operanti nell’ambito dei contratti previsti dall’art. 1 dello statuto della federazione Italiana Lavoratori commercio Alberghi Mense Servizi”, se ne deduce  necessariamente che nell’ambito del territorio della provincia di Palermo la struttura minima del sindacato è appunto la federazione provinciale di Palermo. Ed invero, l’uso della disgiuntiva “o” nell’art. 8 dello statuto nazionale sta a significare che l’articolazione territoriale della FILCAMS può coincidere con il territorio delle provincie Ovvero , in alternativa, con quello diverso, in ipotesi più esteso o meno esteso, dei comprensori. Con la conseguenza che l’esistenza della struttura provinciale di Palermo esclude quella comprensoriale.

            Tale circostanza (inesistenza di una struttura comprensoriale della Filcams a Carini), peraltro, è stata confermata dal segretario provinciale di Palermo in sede di libero interrogatorio. Nè al riguardo può sostenersi che tale affermazione doveva essere supportata da riscontri oggettivi, in quanto non può richiedersi alla parte di fornire la prova di una circostanza negativa.

            Era semmai onere della convenuta dare la prova positiva della presenza di una struttura della Filcams a livello territoriale inferiore rispetto alla federazione provinciale di Palermo, in particolare nell’ambito del comprensorio di Carini. Ma tale onere non è stato assolto.

            A parere dello scrivente, infatti, nessun valido argomento a sostegno di tale tesi può trarsi dalla tessera di adesione alla Filcams e dalle fotografie prodotte all’udienza del 13 ottobre 2000.

            Non  da queste ultime, che raffigurano la sede di Carini della C.G.I.L.. Camera del Lavoro, Patronato Inca, e non invece della Filcams (in ipotesi) di Carini. Al riguardo è bene ricordare che la federazione di categoria Filcams è soggetto distinto dalla confederazione Cgil, alla quale soltanto aderisce (v. Art. 1 statuto nazionale in atti), e che le  camere del lavoro sono strutture della Cgil e non della Filcams.

            La tessera , poi riporta chiaramente il timbro della Filcams provinciale di Palermo, mentre la dicitura “Carini” è riportata soltanto nella riga riservata alla indicazione della camera del lavoro territoriale di riferimento (C.d.l.t. di), che, come detto, è strutturata della Cgil e non della Filcams

            Va precisato, ancora, che nulla impedisce alla Filcams di utilizzare per la materiale consegna delle tessere agli associati sedi      periferiche diverse dalle proprie (nella specie, appunto, quella della camera del lavoro di Carini), per agevolare ed incentivare le adesioni sul territorio, senza che ciò, ovviamente,  induca alla conclusione che per ciò solo in quella sede periferica agisca una struttura Filcams, diversa ed  autonoma da quella provinciale, dotata di legittimazione attiva alla promozione di un procedimento per repressione di condotta antisindacale.

            Concludendo, quindi, la Filcams provinciale di Palermo è legittimata attivamente nel presente giudizio ex art. 28 st. Lav. Quale articolazione della federazione più periferica rispetto al luogo di svolgimento della (asserita) condotta antisindacale.

            Ciò posto, nel merito il ricorso è fondato e va accolto nei termini di cui al prosieguo.

            La condotta denunciata è consistita nell’avere proceduto al licenziamento collettivo dei 14 dipendenti dello stabilimento aziendale della Sogea di Carini senza l’osservanza delle procedure fissate dagli artt. 4 e 5 L. 223 del 1991 (comunicazione preventiva, esame congiunto, applicazione dei criteri di scelta per l’individuazione dei lavoratori da licenziare).

            Orbene, è pacifico tra le parti che i licenziamenti in questione hanno natura collettiva, segnatamente per riduzione di personale ex art. 24 l. N. 223, che la convenuta al momento di adozione degli stessi (ma anche in atto) aveva più di 15 dipendenti nell’intero territorio nazionale e che nello stabilimento di Carini gli addetti erano 14. Il contrasto riguarda l’applicabilità alla fattispecie della legge n. 223 del 1991, che la Sogea esclude ritenendo che il limite dimensionale  dei 15 dipendenti vada riferito, in combinato disposto con l’art. 18 st. Lav. ,  richiamato espressamente dall’art. 5, comma 3 L. N. 223, alla singola unità produttiva e non all’intero complesso aziendale.

            L’assunto della Sogea non può essere condiviso.

            A sfavore milita anzitutto il dato testuale estremamente chiaro dell’art. 24, che non lascia margini a dubbi: “Le disposizioni di cui all’art. 4, commi da 2 a 12 e 15 bis, e all’art. 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti  ...”.

Come si vede, non vi è alcun riferimento alla singola sede, unità stabilimento o altro termine equivalente interessato dai licenziamenti collettivi, come invece fa espressamente l’art. 18 st. Lav., sicchè il requisito dimensionale deve necessariamente essere riferito all’intera impresa.

            Ma la tesi di parte convenuta si scontra anche con il dato logico - sistematico.

            Il richiamo che l’art. 5 comma 3 fa all’art. 18 dello Statuto, invero, deve intendersi riferito esclusivamente alla sanzione della  reintegrazione e non all’intero contenuto normativo dell’art., per le seguenti considerazioni.

·      Il comma 3 dell’art. 5 in commento disciplina ex se le ipotesi di inefficacia e di annullabilità del licenziamento collettivo - tutte estranee ai motivi che hanno indotto l’imprenditore alla decisione di ridurre il personale, che restano insindacabili ., che differiscono ontologicamente da quelle contemplate dall’art. 18, le quali com’è noto attengono anche alla motivazione del  licenziamento; di talchè la diversità strutturale delle due fattispecie esclude un richiamo integrale all’art. 18;

·      intendere il richiamo all’art. 18 riferito anche al requisito dimensionale previsto da quella norma per l’operatività dell’istituto della reintegrazione, significa svuotare di significato il disposto dell’art. 24, comma 1 che fissa proprio il requisito dimensionale per l’applicabilità anche al licenziamento per riduzione di personale (tra l’altro) delle ipotesi di inefficacia e annullabilità del recesso di cui all’art. 5 comma 3; ed è noto che tra un’interpretazione che rende sostanzialmente inutile una norma ed un’altra che ne mantiene l’operatività va privilegiata quest’ultima;

·      la ratio delle due discipline è diversa - come si vedrà più diffusamente a proposito  dell’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla convenuta -, sì da giustificare una tutela più rigorosa in materia di licenziamenti collettivi.

            La Sogea solleva questione di costituzionalità delle norme della legge n. 223 del 1991 in commento , ove interpretate nel senso che l’espressione “più di quindici dipendenti” di cui all’art. 24, comma 1, si riferisca all’intera impresa e non al singolo stabilimento aziendale interessato ai licenziamenti,  per l’ “ingiustificabile disparità di trattamento ai danni di quelle imprese che occupino più di 15 dipendenti a livello nazionale e non meno di 5 a livello locale, rispetto alle consorelle che ne occupino più di sessanta su base nazionale e non più di quattro nell’ambito provinciale. In quest’ultimo caso, infatti, l’Azienda sarebbe in grado di licenziare tutti i propri dipendenti non solo senza seguire la procedura di cui all’art. 4, ma con la sola conseguenza di cui all’art. 2 della L. 11.5.1990 n. 108” (v. Memoria di costituzione pag. 17).

            La questione, se interpretata secondo il significato letterale testè riferito, è irrilevante nella fattispecie.

            Nell’ipotesi segnalata dalla Sogea, infatti, l’inapplicabilità della procedura di cui all’art. 4 ai licenziamenti per riduzione di personale per l’azienda che abbia più di 60 dipendenti a livello nazionale e non più di 4 nell’ambito provinciale, non deriva dall’interpretazione che si da al requisito delle dimensioni dell’impresa fissato dall’art. 24 (più di 15 dipendenti dell’intera impresa o della singola unità produttiva), ma dalla mancanza dell’altro requisito fissato dallo stesso art. 24: l’effettuazione di almeno 5 licenziamenti nell’ambito provinciale (dato che l’azienda in ipotesi non ne ha più di 4 in alcuna provincia).

            Peraltro deve osservarsi come non sia esatta la conclusione secondo cui l’azienda in questione non sarebbe soggetta alla tutela reale, in quanto invece l’art. 18 st. Lav. Troverebbe applicazione per effetto del numero complessivo dei dipendenti su base nazionale superiore a 60.

            Ove invece l’eccezione di incostituzionalità venisse interpretata nel senso che la disparità di trattamento riguarderebbe quelle imprese che, per occupare più di 15 dipendenti su base nazionale, ma meno di 60 in totale e meno di 15 in una stessa unità produttiva o nel medesimo comune, sarebbero sottoposte alle sanzioni previste dall’art. 18 st. Lav. In caso di licenziamento collettivo, pur non essendo soggette al regime di tutela reale in caso di licenziamento individuale, essa non supererebbe comunque il vaglio di non manifesta infondatezza  per la sua devoluzione alla Consulta..

            La legge n. 223/1991, infatti, assicura una tutela uniforme e più rigorosa rispetto a quella dei licenziamenti individuali, in funzione della evidente maggiore pericolosità sociale dei licenziamenti collettivi i quali, oltre a coinvolgere gli interessi dei singoli lavoratori, implicano anche quelli della collettività, intesa in senso più o meno ampio a seconda delle singole realtà, in cui opera l’azienda in crisi.

            La scelta del legislatore di tutelare più efficacemente i licenziamenti collettivi, quindi, non viola il principio costituzionale di uguaglianza, perchè volta a regolare diversamente fattispecie diverse per presupposti e ratio.

Ritenuto, quindi, che la Sogea prima di procedere ai licenziamenti collettivi dei 14 addetti allo  stabilimento di Carini, avrebbe dovuto osservare le procedure fissate dagli artt. 4 e 5 L. N. 223 (in virtù del richiamo operato dall’art. 24 stessa legge), cosa che pacificamente non ha fatto, deve concludersi che tale omissione integra senz’altro gli estremi dell’antisindacalità, in quanto, violando i diritti del sindacato di informazione e  di esame congiunto riconosciuti dalla legge, gli impedisce obiettivamente di esercitare il proprio ruolo discutendo con la parte datoriale le eventuali possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti (secondo lo spirito della legge n. 223 e della direttiva comunitaria n. 129 del 1975) e ne mina la credibilità agli occhi dei lavoratori iscritti.

A proposito della dedotta mancanza di intenzionalità del  comportamento antisindacale, è il caso di ricordare che, secondo il recente insegnamento delle sezioni unite della Suprema corte , “per integrare gli estremi della condotta antisindacale ... è sufficiente che  tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui  sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore” (Cass., sez. Un., 12.6.1997, 5295 e, nel medesimo senso, n. 10324 e 6193/1998).

Per quanto riguarda il requisito di attualità della condotta ciò che rileva nella fattispecie è il perdurare (e quindi, l’attualità) degli effetti pregiudizievoli per il sindacato derivanti dall’omissione delle procedure fissate dalla legge prima di effettuare i licenziamenti collettivi.

E’ dunque evidente che tale stato di perdurante pregiudizio va rimosso mediante declaratoria della natura antisindacale della condotta denunciata e conseguente rimozione degli effetti già prodotti.

In concreto ciò importa l’ordine reintegrazione nel posto di lavoro dei lavoratori illegittimamente licenziati, ad eccezione di quelli che in corso di causa hanno sottoscritto i verbali di transazione in sede sindacale, con espressa e definitiva accettazione della risoluzione del rapporto (e cioè: Corrao Claudio giuseppe, Ruffino Francesco, Di Cristina Benedetto, Meschisi Giuseppe, Caruso Vincenzo, Di Stefano Salvatore, Basile Carmelo, Chiappara Francesco, Maniscalco Salvatore e Geraci Luigi; v. I singoli verbali in atti).

Al riguardo va precisato che la chiusura definitiva dello stabilimento di Carini non osta all’ordine di reintegrazione dei quattro lavoratori che non hanno raggiunto l’accordo transattivo, in quanto la Sogea Metalli s.p.a., come si legge nella stessa memoria di costituzione (pagg. 3 e 4), è ancora in regolare attività in altre unità produttive (la sentenza della Cassazione n. 7189 del 1966 invocata dalla difesa della convenuta riguarda invero la diversa ipotesi di cessazione totale dell’attività aziendale).

Non può accogliersi, infine, la domanda di condanna della convenuta alla pubblicazione del presente provvedimento su uno o più quotidiani, non avendo dimostrato il sindacato ricorrente, come era suo  onere, che nel caso concreto tale misura rientri tra quelle previste con formula generale dall’art. 28 st. Lav. Per rimuovere gli effetti della condotta antisindacale.

Per il principio della soccombenza lew spese di lite, che si liquidano come in dispositivo, vanno poste a carico della convenuta, con distrazione in favore del procuratore di parte ricorrente che ha dichiarato di non avere ricevuto acconti.

P.Q.M.

Dichiara antisindacale il comportamento della SOGEA METALLI s.p.a. consistito nel non avere osservato le procedure fissate dagli artt. 4 e 5 L. 223 del 1991 prima di adottare i licenziamenti per riduzione di personale ai sensi dell’art.  24 stessa legge nei confronti dei quattordici dipendenti dello stabilimento di Carini.

Per l’effetto, dichiara inefficaci i licenziamenti in questione, ordina alla nominata società di reintegrare nel posto di lavoro i quattro lavoratori che nelle more di questo giudizio non hanno sottoscritto la transazione in sede sindacale, nonchè di astenersi dal ripetere siffatta condotta.

Condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite, liquidate in lire 2.200.000 di cui £. 1.200.000 per onorario, ordinandone la distrazione in favore dell’avv. Croce.

 

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