CONTRATTI DI RIALLINEAMENTO

 E

 STRAORDINARIO NON RETRIBUITO

 

di Maurizio Maggio

 

Com’è noto i contratti di riallineamento retributivo sono disciplinati dall’art. 23 della l. n. 196 del 24.6.1997, che integra e modifica la disciplina originaria di cui all’art. 5 del D.L. n. 510 dell’1.10.1996 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 608 del 28.11.1996.

Le suddette disposizioni hanno una duplice funzione:

* consentire l’emersione dei trattamenti retributivi sconosciuti al fisco ed agli enti previdenziali ed assistenziali;

* adeguare progressivamente i rapporti di lavoro formalizzati, ma con trattamento economico inferiore ai minimali di legge previsti con riferimento ai contratti collettivi.

In tali ipotesi è previsto che, a livello aziendale, possa essere sottoscritto un accordo sindacale di recepimento dell’accordo provinciale di riallineamento retributivo, stipulato dalle associazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali locali, aderenti alle organizzazioni nazionali, stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento, con i seguenti vantaggi:

a) sanatoria “anche per i periodi pregressi per le pendenze contributive ed a titolo di fiscalizzazione di leggi speciali in materia e di sanzioni a ciascuna di esse relative ovvero di sgravi contributivi”;

b) estinzione dei “reati previsti da leggi speciali in materia di contributi e di premi e le obbligazioni per sanzioni amministrative e per ogni altro onere accessorio” (art. 5, c. 3);

c) possibilità di effettuare il versamento delle ritenute di legge, senza sanzioni ed interessi, sulle somme corrisposte e non denunciate (art. 5, c. 3 bis).

E’ altresì previsto che, all’atto dell’avvenuto riallineamento, le imprese, relativamente ai lavoratori interessati, godano degli incentivi previsti per i casi di nuova occupazione (art. 5, c. 6-bis).

Il riferimento all’insieme degli effetti conseguenti alla stipula dell’accordo di riallineamento, non è casuale, poiché ci consente di effettuare una prima ricognizione delle fattispecie su cui il Legislatore ha inteso modellare l’intervento normativo, riconducibili all’ipotesi di cosiddetto “lavoro nero” integrale (mancata denuncia di rapporto di lavoro subordinato, con inadempimento degli oneri fiscali e previdenziali), ovvero di rapporti di lavoro subordinati, formalizzati ma con trattamento inferiore a quello previsto dai rispettivi contratti collettivi di settore.

Cosa accade nell’ipotesi in cui un’impresa abbia applicato integralmente il contratto collettivo di lavoro, ma non abbia corrisposto il compenso per il lavoro supplementare o straordinario, svolto dai propri dipendenti, senza riportarlo nelle relative buste paga?

La fattispecie si presta ad una duplice lettura.

Sotto un primo profilo, si può rilevare come la superiore circostanza si possa qualificare come inadempimento contrattuale, configurabile proprio in quanto l’azienda applica il contratto collettivo, con la conseguenza che, laddove dovesse essere riconosciuta o accertata giudizialmente l’esistenza di lavoro straordinario, ne conseguirebbe il diritto per il lavoratore al pagamento del relativo emolumento ed al versamento dei contributi.

E’ evidente che tale ipotesi non ha nulla a che vedere con la normativa in materia di riallineamento, poiché, applicando già l’impresa il contratto collettivo, non si vede perché, a fronte dell’eventuale mancato riconoscimento e pagamento del lavoro straordinario, l’applicazione del contratto, per tale aspetto, debba avvenire progressivamente e con rinuncia al pregresso da parte del lavoratore.

L’attivazione della procedura prevista dalla legge per il riallineamento, quindi, non avrebbe ragion d’essere, non escluderebbe la possibilità che pretese, in materia di straordinario non pagato, possano essere avanzate dai lavoratori e probabilmente non avrebbe effetto di sanatoria, rispetto ad altre irregolarità di natura previdenziale e/o fiscale.

Ma non solo.

Il ricorso a tale procedura precluderebbe la possibilità di recupero degli sgravi, laddove non goduti, giacché l’accordo aziendale di riallineamento, da depositarsi anche presso le sedi provinciali dell’INPS, avrebbe come presupposto la non applicazione in azienda, per il passato, della contrattazione collettiva.

In altri termini, nella nostra fattispecie, non si tratterebbe di innalzare progressivamente il trattamento economico dei lavoratori, fino a concorrenza di quello contrattualmente previsto, ma semplicemente di corrispondere il compenso per lavoro straordinario, laddove svolto, versando, ovviamente, i relativi contributi.

Tuttavia non si può sottacere che la fattispecie esaminata si presta ad un altra interpretazione.

Ed infatti, soprattutto laddove il lavoro straordinario non retribuito dovesse essere sistematico e continuativo, si potrebbe sostenere che l’impresa, in realtà, applichi ai propri dipendenti un orario di lavoro non contrattuale, con la conseguenza che la retribuzione ordinaria corrisposta, riferita ad un orario di fatto superiore a quello contrattuale, non sarebbe rispettosa dei minimi contrattuali.

Sotto tale ottica di lettura, allora, la non applicazione di fatto del contratto collettivo consentirebbe l’operatività della procedura di riallineamento, con i relativi vantaggi prima esposti.

Naturalmente, la possibilità di esperire la procedura di riallineamento è subordinata alla stipula, a livello provinciale, di un contratto di riallineamento per il settore interessato e che l’accordo aziendale sia sottoscritto con le stesse parti (sindacali) che abbiano sotoscritto l’accordo provinciale (art. 5, 1° c.).

(Avv. Maurizio Maggio )