PART-TIME
D.L. 25.2.2000 N. 61
Attuazione della direttiva
97/81/ce relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso
dall’UNICE dal CEEP e dalla CES.
Art. 1
Definizioni
1. Nel rapporto di lavoro subordinato l'assunzione può
avvenire a tempo pieno o a tempo parziale.
2. Ai fini del presente decreto legislativo si
intende:
a) per «tempo pieno» l'orario normale di
lavoro di cui all'articolo 13, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196 (57),
e successive modificazioni, o l'eventuale minor orario normale fissato dai
contratti collettivi applicati;
b) per, «tempo parziale» l'orario di lavoro,
fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti
comunque inferiore a quello indicato nella lettera a);
c) per «rapporto di lavoro a tempo parziale di
tipo orizzontale» quello in cui la riduzione di orario rispetto al tempo
pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro;
d) per «rapporto di lavoro a tempo parziale di
tipo verticale» quello in relazione al quale risulti previsto che l'attività
lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati
nel corso della settimana, del mese o dell'anno;
e) per «lavoro supplementare» quello
corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro
concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 2, comma 2, ed entro il limite
del tempo pieno.
3. I contratti collettivi nazionali stipulati dai
sindacati comparativamente più rappresentativi, i contratti collettivi
territoriali stipulati dai medesimi sindacati ed i contratti collettivi
aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui
all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni,
con l'assistenza dei sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto
collettivo nazionale applicato, possono consentire che il rapporto di lavoro a
tempo parziale si svolga secondo una combinazione delle due modalità indicate
nelle lettere c) e d) del comma 2, provvedendo a determinare le modalità
temporali di svolgimento della specifica prestazione lavorativa ad orario
ridotto, nonché le eventuali implicazioni di carattere retributivo della
stessa.
4. Le assunzioni a termine, di cui alla legge 18
aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni, possono essere effettuate anche
con rapporto a tempo parziale, ai sensi dei commi 2 e 3.
Art. 2.
Forma e contenuti del contratto
di lavoro a tempo parziale
1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è
stipulato in forma scritta ai fini e per gli effetti di cui all'articolo 8,
comma 1. Il datore di lavoro è tenuto a dare comunicazione dell'assunzione a
tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio
mediante invio di copia del contratto entro trenta giorni dalla stipulazione
dello stesso. Fatte salve eventuali più favorevoli previsioni dei contratti
collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, il datore di lavoro è altresì
tenuto ad informare le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, con
cadenza annuale, sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa
tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare.
2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è
contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della
collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al
mese e all'anno. Clausole difformi sono ammissibili solo nei termini di cui
all'articolo 3, comma 7.
Art. 3.
Modalità del rapporto di lavoro
a tempo parziale.
Lavoro supplementare, lavoro
straordinario, clausole
elastiche.
1. Il datore di lavoro ha facoltà di richiedere lo
svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il
lavoratore ai sensi dell'articolo 2, comma 2, nel rispetto di quanto previsto
dai commi 2, 3, 4 e 6.
2. Il contratto collettivo, stipulato dai soggetti
indicati nell'articolo 1, comma 3, che il datore di lavoro effettivamente
applichi, stabilisce:
a) il numero massimo di ore di lavoro supplementare
effettuabili in ragione di anno; ove la determinazione è effettuata in sede di
contratto collettivo territoriale o aziendale è comunque rispettato il limite
stabilito dal contratto collettivo nazionale;
b) il numero massimo di ore di lavoro supplementare
effettuabili nella singola giornata lavorativa;
c) le causali obiettive in relazione alle quali si
consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di
lavoro supplementare. In attesa delle discipline contrattuali di cui al presente
comma e fermo restando quanto previsto dal comma 15, il ricorso al lavoro
supplementare è ammesso nella misura massima del 10 per cento della durata
dell'orario di lavoro a tempo parziale riferita a periodi non superiori ad un
mese e da utilizzare nell'arco di più di una settimana.
3. L'effettuazione di prestazioni di lavoro
supplementare richiede in ogni caso il consenso del lavoratore interessato.
L'eventuale rifiuto dello stesso non costituisce infrazione disciplinare, né
integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
4. Le ore di lavoro supplementare sono retribuite
come ore ordinarie, salva la facoltà per i contratti collettivi di cui al comma
2 di applicare una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione
oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro supplementare. In
alternativa a quanto previsto in proposito dall'articolo 4, comma 2, lettera a),
i contratti collettivi di cui al comma 2 possono anche stabilire che l'incidenza
della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti
e differiti sia determinata convenzionalmente mediante l'applicazione di una
maggiorazione forfettaria sulla retribuzione dovuta per la singola ora di lavoro
supplementare.
5. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo
verticale è consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie
in relazione alle giornate di attività lavorativa. A tali prestazioni si
applica la disciplina legale e contrattuale vigente, ed eventuali successive
modifiche ed integrazioni, in materia di lavoro straordinario nei rapporti a
tempo pieno. Salva diversa previsione dei contratti collettivi di cui
all'articolo 1, comma 3, i limiti trimestrale ed annuale stabiliti dalla legge
27 novembre 1998, n. 409 (58), si intendono riproporzionati in relazione alla
durata della prestazione lavorativa a tempo parziale.
6. Le ore di lavoro supplementare di fatto svolte in
misura eccedente quella consentita ai sensi del comma 2 comportano
l'applicazione di una maggiorazione del 50 per cento sull'importo della
retribuzione oraria globale di fatto per esse dovuta. I contratti collettivi di
cui all'articolo 1, comma 3, possono elevare la misura della maggiorazione; essi
possono altresì stabilire criteri e modalità per assicurare al lavoratore a
tempo parziale, su richiesta del medesimo, il diritto al consolidamento nel
proprio orario di lavoro, in tutto od in parte, del lavoro supplementare svolto
in via non meramente occasionale.
7. Ferma restando l'indicazione nel contratto di
lavoro della distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla
settimana, al mese ed all'anno, i contratti collettivi, di cui all'articolo 1,
comma 3, applicati dal datore di lavoro interessato, hanno la facoltà di
prevedere clausole elastiche in ordine alla sola collocazione temporale della
prestazione lavorativa, determinando le condizioni e le modalità a fronte delle
quali il datore di lavoro può variare detta collocazione, rispetto a quella
inizialmente concordata col lavoratore ai sensi dell'articolo 2, comma 2.
8. L'esercizio da parte del datore di lavoro del
potere di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo
parziale comporta in favore del lavoratore un preavviso di almeno dieci giorni.
Lo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7
comporta altresì in favore del lavoratore il diritto ad una maggiorazione della
retribuzione oraria globale di fatto, nella misura fissata da contratti
collettivi di cui ai medesimo comma 7.
9. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di
lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore
formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al
contratto di lavoro. Nel patto è fatta espressa menzione della data di
stipulazione, della possibilità di denuncia di cui al comma 10, delle modalità
di esercizio della stessa, nonché di quanto previsto dal comma 1 1.
10. Durante il corso di svolgimento del rapporto di
lavoro a tempo parziale il lavoratore potrà denunciare il patto di cui al comma
9, accompagnando alla denuncia l'indicazione di una delle seguenti documentate
ragioni: a) esigenze di carattere familiare; b) esigenze di tutela della salute
certificate dal competente Servizio sanitario pubblico; c) necessità di
attendere ad altra attività lavorativa subordinata o autonoma. La denuncia in
forma scritta, potrà essere effettuata quando siano decorsi almeno cinque mesi
dalla data di stipulazione del patto e dovrà essere altresì accompagnata da un
preavviso di un mese in favore del datore di lavoro. I contratti collettivi di
cui al comma 7 determinano i criteri e le modalità per l'esercizio della
possibilità di denuncia anche nel caso di esigenze di studio o di formazione e
possono, altresì, individuare ulteriori ragioni obiettive in forza delle quali
possa essere denunciato il patto di cui al comma 9. II datore di lavoro ha
facoltà di rinunciare al preavviso.
11. Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare
il patto di cui al comma 9 e l'esercizio da parte dello stesso del diritto di
ripensamento di cui al comma 10 non possono integrare in nessun caso gli estremi
del giustificato motivo di licenziamento.
12. A seguito della denuncia di cui al comma 10 viene
meno la facoltà del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della
prestazione lavorativa inizialmente concordata ai sensi dell'articolo 2, comma
2. Successivamente alla denuncia, nel corso dello svolgimento del rapporto di
lavoro è fatta salva la possibilità di stipulare un nuovo patto scritto in
materia di collocazione temporale elastica della prestazione lavorativa a tempo
parziale, osservandosi le disposizioni del presente articolo.
13. L'effettuazione di prestazioni lavorative
supplementari o straordinarie, come pure lo svolgimento del rapporto secondo le
modalità di cui al comma 7, sono ammessi esclusivamente quando il contratto di
lavoro a tempo parziale, sia stipulato a tempo indeterminato e, nel caso di
assunzioni a termine, limitatamente a quelle previste dall'articolo 1, comma 2,
lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230. I contratti collettivi di cui
all'articolo 1, comma 3, applicati dal datore di lavoro interessato, possono
prevedere la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni lavorative
supplementari o straordinarie anche in relazione ad altre ipotesi di assunzione
con contratto a termine consentite dalla legislazione vigente.
14. I centri per l'impiego e i soggetti autorizzati
all'attività di mediazione fra domanda ed offerta di lavoro, di cui
rispettivamente agli articoli 4 e 10 del decreto legislativo 23 dicembre 1997,
n. 469 (59), sono tenuti a dare, ai lavoratori interessati ad offerte di lavoro
a tempo parziale, puntuale informazione della disciplina prevista dai commi 3,
7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13, preventivamente alla stipulazione del contratto di
lavoro. Per i soggetti dì cui all'articolo 10 del decreto legislativo 23
dicembre 1997, n. 469, la mancata fornitura di detta informazione costituisce
comportamento valutabile ai fini dell'applicazione della norma di cui al comma
12, lettera b), del medesimo articolo 10.
15. Ferma restando l'applicabilità immediata della
disposizione di cui al comma 3, le clausole dei contratti collettivi in materia
di lavoro supplementare nei rapporti di lavoro a tempo parziale, vigenti alla
data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, continuano a
produrre effetti sino alla scadenza prevista e comunque per un periodo non
superiore ad un anno.
Art. 4
Principio di non discriminazione
1: Fermi restando i divieti di discriminazione
diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore a tempo
parziale non deve ricevere un trattarne meno favorevole rispetto al lavoratore a
tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso
livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti
collettivi di cui all'articolo 1, co ma 3, per il solo motivo di lavorare a
tempo parziale.
2. L'applicazione del principio di non
discriminazione comporta che:
a) il lavoratore a tempo parziale benefici dei
medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno in particolare per quanto
riguarda l'importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e
delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e
facoltativa per maternità; la durata del periodo conservazione del posto di
lavoro a fronte di malattie, infortuni sul lavoro, malattie professionali;
1'applicazione delle norme di tutela della salute e sicure dei lavoratori nei
luoghi di lavoro; l'accesso ad iniziative di formazione professionale
organizzate dal datore di lavoro; l'accesso ai servizi sociali aziendali; i
criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previste dai contratti
collettivi di lavoro: i diritti sindacali, compresi quelli di cui al titolo III
della legge 20 magl 1970, n. 300, e successive modificazioni. I contratti
collettivi di cui all'articolo 1, comma 3. possono prevedere a modulare la
durata del periodo di prova quella del periodo di conservazione del posto di
lavoro in caso di malattia qualora l'assunzione avvenga con contratto di lavoro
a tempo parziale di tipo verticale;
b) il trattamento del lavoratore a tempo parziale va
riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in
particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle
singole componenti di essa; l'importo della retribuzione feriale, l'importo dei
trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia
professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il contratto individuale
di lavo e per i contratti collettivi, di cui all'articolo 1, coma 3, di
prevedere che la corresponsione ai lavoratori tempo parziale di emolumenti
retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più
che proporzionale.
Art. 5.
Tutela ed inceativazione del
lavoro a tempo parziale.
1. Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il
proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il
proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non
costituisce giustificato motivo di licenziamento. Su accordo delle parti
risultante da atto scritto, redatto su richiesta del lavoratore con l'assistenza
di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal
lavoratore medesimo in mancanza di rappresentanza sindacale aziendale ne l'unità
produttiva, convalidato dalla direzione provinciale del lavoro competente per
territorio, è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto a tempo parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale risultante
dalla trasformazione si applica la disciplina di cui al presente decreto
legislativo.
2. In caso di assunzione di personale a tempo pieno
il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore
dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive
site entro 100 km dall'unità produttiva interessata dalla programmata
assunzione, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a
quelle con riguardo alle quali è prevista l'assunzione, dando priorità a
coloro che, già dipendenti, avevano trasformato il rapporto di lavoro da tempo
pieno a tempo parziale. A parità di condizioni, il diritto di precedenza
nell'assunzione a tempo pieno potrà essere fatto valere prioritariamente dal
lavoratore con maggiori carichi familiari; secondariamente si terrà conto della
maggiore anzianità di servizio, da calcolarsi comunque senza riproporzionamento
in ragione della pregressa ridotta durata della prestazione lavorativa.
3. In caso di assunzione di personale a tempo
parziale il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al
personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità
produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione
scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, ed a prendere in
considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del
rapporto dei dipendenti a tempo pieno. Su richiesta del lavoratore interessato,
il rifiuto del datore di lavoro dovrà essere adeguatamente motivato. I
contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere ad
individuare criteri applicativi con riguardo alla disposizione di cui al primo
periodo del presente comma.
4. I benefici contributivi previsti dall'articolo 7,
comma 1, lettera a), del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451 (60), possono essere
riconosciuti con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale
previsto dal citato articolo, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, anche in misura differenziata in
relazione alla durata dell'orario previsto dal contratto di lavoro a tempo
parziale, in favore dei datori di lavoro privati imprenditori e non imprenditori
e degli enti pubblici economici che provvedano ad effettuare, entro il termine
previsto dal decreto medesimo, assunzioni con contratto a tempo indeterminato e
parziale ad incremento degli organici esistenti calcolati con riferimento alla
media degli occupati nei dodici mesi precedenti la stipula dei predetti
contratti.
Art. 6.
Criteri di computo dei
lavoratori a tempo parziale.
1. In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di
legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della
consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel
numero complessivo dei dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato
al tempo pieno così come definito ai sensi dell'articolo 1, con arrotondamento
all'unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno.
2. Ai soli fini dell'applicabilità della disciplina
di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere,
quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa.
Art. 7
Applicabilità nel settore
agricolo.
1. Le modalità di applicazione delle disposizioni di
cui al presente decreto legislativo ai rapporti di lavoro del settore agricolo,
anche con riguardo alla possibilità di effettuare lavoro supplementare o di
consentire la stipulazione di una clausola elastica di collocazione della
prestazione lavorativa nei rapporti a tempo determinato parziale, sono
determinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi.
Art. 8
Sanzioni
1. Nel contratto di lavoro a tempo parziale la forma
scritta è richiesta a fini di prova. Qualora la scrittura risulti mancante, è
ammessa la prova per testimoni nei limiti di cui all'articolo 2725 del codice
civile. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del
contratto di lavoro, su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata la
sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla
data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata. Resta
fermo il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese
antecedentemente alla data suddetta.
2. L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel
contratto scritto delle indicazioni di cui all'articolo 2, comma 2, non comporta
la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale. Qualora l'omissione
riguardi la durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavoratore può
essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale. Qualora invece
l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice
provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione
lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti
collettivi di cui all'articolo 3, comma 7, o, in mancanza, con valutazione
equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del
lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito
derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività
lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo
antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi
i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un
ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con
valutazione equitativa. Nel corso del successivo svolgimento del rapporto, è
fatta salva la possibilità di concordare per iscritto una clausola elastica in
ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo
parziale, osservandosi le disposizioni di cui all'articolo 3. In luogo del
ricorso all'autorità giudiziaria, le controversie di cui al presente comma ed
al comma 1 possono essere risolte mediante le procedure di conciliazione ed
eventualmente di arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro
di cui all'articolo 1, comma 3.
3. In caso di violazione da parte del datore di
lavoro del diritto di precedenza di cui all'articolo 5, comma 2, il lavoratore
ha diritto al risarcimento del danno in misura corrispondente alla differenza
fra l'importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata
corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi a
detto passaggio.
4. La mancata comunicazione alla direzione
provinciale del lavoro, ili cui all'articolo 2, comma 1, secondo periodo,
comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa di lire trentamila per
ciascun lavoratore interessato ed ogni giorno di ritardo. I corrispondenti
importi sono versati a favore della gestione contro la disoccupazione
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps).
Art. 9.
Disciplina previdenziale
1. La retribuzione minima oraria, da assumere quale
base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo
parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario
normale il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto legge 12
settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
1983, n. 638, e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di
orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di
categoria per i lavoratori a tempo pieno.
2. Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai
lavoratori a tempo parziale per l'intera misura settimanale in presenza di una
prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore al minimo di
ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti
di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le
giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore
lavorate nella giornata. Qualora non si possa individuare l'attività principale
per gli effetti dell'articolo 20 del testo unico delle norme sugli assegni
familiari, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955,
n. 797, e successive modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono
corrisposti direttamente dall'Inps. Il comma 2 dell'articolo 26 del citato testo
unico è sostituito dal seguente: << Il contributo non è dovuto per i
lavoratori cui non spettano gli assegni a norma dell'articolo 2.».
3. La retribuzione da valere ai fini
dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
dei lavoratori a tempo parziale è uguale alla retribuzione tabellare prevista
dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo
pieno. La retribuzione tabellare è determinata su base oraria in relazione alla
durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La
retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi per
l'assicurazione di cui al presente comma è stabilita con le modalità di cui al
comma 1.
4. Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro
a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della
determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero
l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente
all'orario effettivamente svolto l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a
tempo parziale.
Art. 10.
Disciplina del part-time nei
rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
1. Ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (61), le disposizioni del presente decreto si
applicano, ove non diversamente disposto, anche ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con esclusione di quelle contenute
negli articoli 2, comma 1, 5, commi 2 e 4, e 8, e comunque fermo restando quanto
previsto da disposizioni speciali in materia ed, in particolare, dall'articolo 1
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (62), dall'articolo 39 della legge 27
dicembre 1997, n. 449 (63), dall'articolo 22 della legge 23 dicembre 1998, n.
448 (64), e dall'articolo 20 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (65).
Art. 11.
Abrogazioni
1. Sono abrogati:
a) l'articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n.
726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863;
b) la lettera a) del comma 1 dell'articolo 7 del
decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge
19 luglio 1994, n. 451, limitatamente alle parole: <<alla data di entrata
in vigore del presente decreto ovvero sulla base di accordi collettivi di
gestione di eccedenze di personale che contemplino la trasformazione di
contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale», nonché l'articolo 13,
comma 7, della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Art. 12.
Verifica
1. Entro il 31 dicembre 2000 il Ministro del lavoro e
della previdenza sociale procede ad una verifica, con le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni dettate
dal presente decreto legislativo, con particolare riguardo alle previsioni
dell'articolo 3, comma 2, in materia di lavoro supplementare e all'esigenza di
controllare le ricadute occupazionali delle misure di incentivazione introdotte,
anche ai fini dell'eventuale esercizio del potere legislativo delegato di cui
all'articolo 1, comma 4, della legge 5 febbraio 1999, n. 25.
PROCESSO AMMINISTRATIVO:
L.205/2000
pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 26 luglio 2000
Art.
1. Disposizioni generali.
1. All’articolo
21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, i commi dal primo al quinto sono
sostituiti dai seguenti:
«Il
ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto
impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si
riferisce, o almeno ad alcuno tra essi, entro il termine di sessanta giorni da
quello in cui l’interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque
avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica
individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se
questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l’obbligo
di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri
controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale.
Tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti,
connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione
di motivi aggiunti. In pendenza di un ricorso l’impugnativa di cui
dall’articolo 25, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241, può essere
proposta con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria
della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione
ed ai controinteressati, e viene decisa con ordinanza istruttoria adottata in
camera di consiglio.
Il
ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, e con copia del provvedimento
impugnato, ove in possesso del ricorrente, deve essere depositato nella
segreteria del tribunale amministrativo regionale, entro trenta giorni
dall’ultima notifica. Nel termine stesso deve essere depositata copia del
provvedimento impugnato, ove non depositata con il ricorso, ovvero ove
notificato o comunicato al ricorrente, e dei documenti di cui il ricorrente
intenda avvalersi in giudizio.
La
mancata produzione della copia del provvedimento impugnato e della
documentazione a sostegno del ricorso non implica decadenza.
L’amministrazione,
entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di deposito del ricorso, deve
produrre l’eventuale provvedimento impugnato nonchè gli atti e i documenti in
base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati, e quelli che
l’amministrazione ritiene utili al giudizio.
Dell’avvenuta
produzione del provvedimento impugnato, nonchè degli atti e dei documenti in
base ai quali l’atto è stato emanato, deve darsi comunicazione alle parti
costituite.
Ove
l’amministrazione non provveda all’adempimento, il presidente, ovvero un
magistrato da lui delegato, ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione
degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni».
2.
Il terzo comma dell’articolo 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive
modificazioni, è sostituito dal seguente:
«La
decisione sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, è adottata dal
presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato ovvero dal collegio
mediante ordinanza con la quale è contestualmente fissata la data della
successiva udienza di trattazione del ricorso».
3. All’articolo
23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sono aggiunti, in fine, i seguenti
commi:
«I
documenti e gli atti prodotti davanti al tribunale amministrativo regionale non
possono essere ritirati dalle parti prima che il giudizio sia definito con
sentenza passata in giudicato e, nel caso di appello, sono trasmessi senza
indugio al giudice di secondo grado unitamente al fascicolo d’ufficio.
Mediante ordinanza può altresì essere disposta dal presidente della sezione,
anche su istanza di parte, l’acquisizione dei documenti e degli atti e mezzi
istruttori già acquisiti dal giudice di primo grado. Nel caso di appello con
richiesta di sospensione della sentenza impugnata ovvero di impugnazione del
provvedimento cautelare la parte ha diritto al rilascio di copia conforme dei
documenti e degli atti prodotti senza oneri ad eccezione del costo materiale di
riproduzione.
Il
presidente della sezione può, tuttavia, autorizzare la sostituzione degli
eventuali documenti e atti esibiti in originale con copia conforme degli stessi,
predisposta a cura della segreteria su istanza motivata dalla parte interessata.
Entro
trenta giorni dalla data dell’iscrizione a ruolo del procedimento di appello
avverso la sentenza la segreteria comunica al giudice di primo grado
l’avvenuta interposizione di appello e richiede la trasmissione del fascicolo
di primo grado».
4.
All’articolo 38 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, le parole: «entro
due giorni» sono sostituite dalle seguenti: «entro dieci giorni».
Art.
2 Ricorso avverso il silenzio rifiuto.
1. Dopo
l’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è inserito il
seguente:
«Art.
21-bis. – 1. I ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione sono
decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta
giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori
delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto
un’istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro trenta
giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è
appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro
novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio d’appello
si seguono le stesse regole.
2.
In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice
amministrativo ordina all’amministrazione di provvedere di norma entro un
termine non superiore a trenta giorni. Qualora l’amministrazione resti
inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di
parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa.
3.
All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione
del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se anteriormente alla
data dell’insediamento medesimo l’amministrazione abbia provveduto, ancorchè
in data successiva al termine assegnato dal giudice amministrativo con la
decisione prevista dal comma 2».
Art.
3 Disposizioni generali sul processo cautelare.
1. Il
settimo comma dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è
sostituito dai seguenti:
«Se
il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e irreparabile derivante
dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte
dell’amministrazione, durante il tempo necessario a giungere ad una decisione
sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione
a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale
amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in
camera di consiglio. Nel caso in cui dall’esecuzione del provvedimento
cautelare derivino effetti irreversibili il giudice amministrativo può altresì
disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui
subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare. La concessione o
il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando
la richiesta cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il
diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di
primario rilievo costituzionale. L’ordinanza cautelare motiva in ordine alla
valutazione del pregiudizio allegato, ed indica i profili che, ad un sommario
esame, inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso. I
difensori delle parti sono sentiti in camera di consiglio, ove ne facciano
richiesta.
Prima
della trattazione della domanda cautelare, in caso di estrema gravità ed
urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera
di consiglio, il ricorrente può, contestualmente alla domanda cautelare o con
separata istanza notificata alle controparti, chiedere al presidente del
tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato,
di disporre misure cautelari provvisorie. Il presidente provvede con decreto
motivato, anche in assenza di contraddittorio. Il decreto è efficace sino alla
pronuncia del collegio, cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima
camera di consiglio utile. Le predette disposizioni si applicano anche dinanzi
al Consiglio di Stato, in caso di appello contro un’ordinanza cautelare e in
caso di domanda di sospensione della sentenza appellata.
In
sede di decisione della domanda cautelare, il tribunale amministrativo
regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ed
ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può
definire il giudizio nel merito a norma dell’articolo 26. Ove necessario, il
tribunale amministrativo regionale dispone l’integrazione del contraddittorio
e fissa contestualmente la data della successiva trattazione del ricorso a norma
del comma undicesimo; adotta, ove ne sia il caso, le misure cautelari
interinali.
Con
l’ordinanza che rigetta la domanda cautelare o l’appello contro
un’ordinanza cautelare ovvero li dichiara inammissibili o irricevibili, il
giudice può provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento
cautelare.
L’ordinanza
del tribunale amministrativo regionale di accoglimento della richiesta cautelare
comporta priorità nella fissazione della data di trattazione del ricorso nel
merito.
La
domanda di revoca o modificazione delle misure cautelari concesse e la
riproposizione della domanda cautelare respinta sono ammissibili solo se
motivate con riferimento a fatti sopravvenuti.
Nel
caso in cui l’amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure
cautelari concesse, o vi abbia adempiuto solo parzialmente, la parte interessata
può, con istanza motivata e notificata alle altre parti, chiedere al tribunale
amministrativo regionale le opportune disposizioni attuative. Il tribunale
amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza
al giudicato, di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico
delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924,
n. 1054, e successive modificazioni, e dispone l’esecuzione dell’ordinanza
cautelare indicandone le modalità e, ove occorra, il soggetto che deve
provvedere.
Le
disposizioni dei precedenti commi si applicano anche nei giudizi avanti al
Consiglio di Stato».
2. All’articolo
28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dopo il secondo comma è inserito
il seguente:
«Contro
le ordinanze dei tribunali amministrativi regionali di cui all’articolo 21,
commi settimo e seguenti, è ammesso ricorso in appello, da proporre nel termine
di sessanta giorni dalla notificazione dell’ordinanza, ovvero di centoventi
giorni dalla comunicazione del deposito dell’ordinanza stessa nella segreteria».
3. Per
l’impugnazione delle ordinanze già emanate alla data di entrata in vigore
della presente legge il termine di centoventi giorni decorre da quest’ultima
data, sempre che ciò non comporti riapertura o prolungamento del termine
previsto dalla normativa anteriore.
4.
Nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può
essere concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e
irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto, la sospensione dell’atto
medesimo. La sospensione è disposta con atto motivato del Ministero competente
ai sensi dell’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 24
novembre 1971, n. 1199, su conforme parere del Consiglio di Stato.
Art.
4. Disposizioni particolari sul processo in determinate materie.
1. Dopo
l’articolo 23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è inserito il
seguente:
«Art.
23-bis. – 1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa aventi ad oggetto:
a) i
provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione
e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse;
b) i
provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed
esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di
gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonchè quelli relativi alle
procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette
opere;
c)
i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed
esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli
atti di esclusione dei concorrenti;
d) i
provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti;
e) i
provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di
imprese o beni pubblici, nonchè quelli relativi alla costituzione,
modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni ai sensi
dell’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
f)
i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri
ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400;
g)
i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi
concernenti la formazione ed il funzionamento degli organi;.
2.
I termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la
proposizione del ricorso.
3. Salva
l’applicazione dell’articolo 26, quarto comma, il tribunale amministrativo
regionale chiamato a pronunciarsi sulla domanda cautelare, accertata la
completezza del contraddittorio ovvero disposta l’integrazione dello stesso ai
sensi dell’articolo 21, se ritiene ad un primo esame che il ricorso evidenzi
l’illegittimità dell’atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio
grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione nel merito alla
prima udienza successiva al termine di trenta giorni dalla data di deposito
dell’ordinanza. In caso di rigetto dell’istanza cautelare da parte del
tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi
l’ordinanza di primo grado, la pronunzia di appello è trasmessa al tribunale
amministrativo regionale per la fissazione dell’udienza di merito. In tale
ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento
dell’ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo
regionale che ne dà avviso alle parti.
4.
Nel giudizio cautelare di cui al comma 3 le parti possono depositare
documenti entro il termine di quindici giorni dal deposito o dal ricevimento
delle ordinanze di cui al medesimo comma e possono depositare memorie entro i
successivi dieci giorni.
5. Con
le ordinanze di cui al comma 3, in caso di estrema gravità ed urgenza, il
tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le
opportune misure cautelari, enunciando i profili che, ad un sommario esame,
inducono a una ragionevole probabilità sul buon esito del
6. Nei
giudizi di cui al comma 1, il dispositivo della sentenza è pubblicato entro
sette giorni dalla data dell’udienza, mediante deposito in segreteria.
7. Il
termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza del tribunale
amministrativo regionale pronunciata nei giudizi di cui al comma 1 è di trenta
giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della
sentenza. La parte può, al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione
della sentenza, proporre appello nel termine di trenta giorni dalla
pubblicazione del dispositivo, con riserva dei motivi, da proporre entro trenta
giorni dalla notificazione ed entro centoventi giorni dalla comunicazione della
pubblicazione della sentenza.
8. Le
disposizioni del presente articolo si applicano anche davanti al Consiglio di
Stato, in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata».
2. Sono
abrogati l’articolo 19 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con
modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, e il comma 27
dell’articolo 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249.
3.
Nei giudizi ai sensi dell’articolo 25, commi 5 e seguenti, della legge 7
agosto 1990, n. 241, il ricorrente può stare in giudizio personalmente
senza l’assistenza del difensore. L’amministrazione può essere
rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purchè in possesso della
qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente.
Art.
5. Giudice unico delle pensioni.
1.
In materia di ricorsi pensionistici, civili, militari e di guerra la Corte dei
conti, in primo grado, giudica in composizione monocratica, attraverso un
magistrato assegnato alla sezione giurisdizionale regionale competente per
territorio, in funzione di giudice unico. In sede cautelare la Corte giudica
sempre in composizione collegiale.
2.
Innanzi al giudice unico delle pensioni si applicano gli articoli 420, 421, 429,
430 e 431 del codice di procedura civile.
3.
Nel caso in cui il ricorrente risulti deceduto il giudice dichiara interrotto il
giudizio e dispone la comunicazione agli eredi ovvero la pubblicazione del
relativo avviso nella Gazzetta Ufficiale, contenente i dati anagrafici
del ricorrente, il numero del ricorso e l’avvertenza che il giudizio deve
essere riassunto entro il termine di novanta giorni a pena di estinzione. Gli
avvisi sono pubblicati gratuitamente. Se nessuno degli eredi provvede a
riassumere il giudizio entro novanta giorni dalla pubblicazione del suddetto
avviso il giudizio è dichiarato estinto.
Art.
6 Disposizioni in materia di giurisdizione.
1.
Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le
controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture
svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio,
all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei
procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale.
2.
Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del
giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di
diritto.
Art.
7. Modifiche al D.L. 31.3.1998, n. 80.
1.
Al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a)
l’articolo 33 è sostituito dal seguente:
–«Art.
33. – 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi
compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul
mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.
2.
Tali controversie sono, in particolare, quelle:
a)
concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di
pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società
di capitali anche di trasformazione urbana;
b)
tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
servizi;
c)
in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici
servizi;
d)
aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori,
servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle
norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale;
e)
riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle
rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione,
con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle
controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a
cose e delle controversie in materia di invalidità.
3.
All’articolo 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034,
sono soppresse le parole: “o di servizi“»;
b)
l’articolo 34 è sostituito dal seguente:
«Art.
34. – 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparati in materia urbanistica ed edilizia.
2.
Agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli
aspetti dell’uso del territorio.
3.
Nulla è innovato in ordine:
a)
alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque;
b)
alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la
determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza
dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa»;
c)
l’articolo 35 è sostituito dal seguente:
«Art.
35. – 1. Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla
sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in
forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
2.
Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i
criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico
servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma
entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso
previsto dall’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato
con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la
determinazione della somma dovuta.
3.
Il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può
disporre l’assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura
civile, nonchè della consulenza tecnica d’ufficio, esclusi l’interrogatorio
formale e il giuramento. L’assunzione dei mezzi di prova e l’espletamento
della consulenza tecnica d’ufficio sono disciplinati, ove occorra, nel
regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, tenendo conto
della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di
celerità e concentrazione del giudizio.
4.
Il primo periodo del terzo comma dell’articolo 7 della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034, è sostituito dal seguente: “Il tribunale amministrativo
regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le
questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali
consequenziali“.
5.
Sono abrogati l’articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e
ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle
controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti
amministrativi».
Art.
8 Giurisdizione esclusiva.
1.
Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, si
applica il capo I del titolo I del libro IV del codice di procedura civile. Per
l’ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato.
L’opposizione si propone con ricorso.
2.
Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, aventi ad oggetti diritti soggettivi di natura patrimoniale, il
tribunale amministrativo regionale, su istanza di parte, dispone in via
provvisionale, con ordinanza provvisoriamente esecutiva, la condanna al
pagamento di somme di denaro quando, in ordine al credito azionato, ricorrono i
presupposti di cui agli articoli 186-bis e 186-ter del codice di
procedura civile.
3.
Al fine di cui al comma 2, il presidente del tribunale amministrativo regionale,
ovvero il presidente della sezione interna o della sezione distaccata, fissa su
istanza di parte la discussione nella prima camera di consiglio utile, e quando
ciò non sia possibile, entro un termine di trenta giorni successivo al deposito
del ricorso o dell’istanza di parte se separata.
4.
Il procedimento di cui ai commi 1 e 2 si applica anche al giudizio innanzi al
Consiglio di Stato in sede di appello.
Art.
9. Decisioni in forma semplificata e perenzione dei ricorsi ultradecennali.
1. All’articolo
26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, l’ultimo comma è sostituito dai
seguenti:
«Nel
caso in cui ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità,
inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il tribunale
amministrativo regionale e il Consiglio di Stato decidono con sentenza
succintamente motivata. La motivazione della sentenza può consistere in un
sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo,
ovvero, se del caso, ad un precedente conforme. In ogni caso, il giudice
provvede anche sulle spese di giudizio, applicando le norme del codice di
procedura civile.
La
decisione in forma semplificata è assunta, nel rispetto della completezza del
contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza
cautelare ovvero fissata d’ufficio a seguito dell’esame istruttorio previsto
dal secondo comma dell’articolo 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio
di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive
modificazioni.
Le
decisioni in forma semplificata sono soggette alle medesime forme di
impugnazione previste per le sentenze.
La
rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione
del giudizio e la perenzione sono pronunciate, con decreto, dal presidente della
sezione competente o da un magistrato da lui delegato. Il decreto è depositato
in segreteria, che ne dà formale comunicazione alle parti costituite. Nel
termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite
può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre
parti e depositato presso la segreteria del giudice adìto entro dieci giorni
dall’ultima notifica. Nei trenta giorni successivi il collegio decide sulla
opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne facciano richiesta,
con ordinanza che, in caso di accoglimento della opposizione, dispone la
reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario. Nel caso di rigetto, le spese sono
poste a carico dell’opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa
ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale.
L’ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti
costituite. Avverso l’ordinanza che decide sulla opposizione può essere
proposto ricorso in appello. Il giudizio di appello procede secondo le regole
ordinarie, ridotti alla metà tutti i termini processuali».
2.
A cura della segreteria è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di
dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del
quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di
fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di
notifica dell’avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia stata presentata
nuova domanda di fissazione vengono, dopo il decorso infruttuoso del termine
assegnato, dichiarati perenti con le modalità di cui all’ultimo comma
dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dal
comma 1 del presente articolo.
3. Le
disposizioni concernenti le decisioni in forma semplificata e la perenzione dei
ricorsi ultradecennali, previste nei commi 1 e 2, si applicano anche ai giudizi
innanzi alla Corte dei conti in materia di ricorsi pensionistici, civili,
militari e di guerra.
4. Il
quinto comma dell’articolo 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è
sostituito dal seguente:
«Negli
altri casi il presidente fissa immediatamente la camera di consiglio per la
sommaria delibazione del regolamento di competenza proposto. Qualora il
collegio, sentiti i difensori delle parti, rilevi, con decisione semplificata,
la manifesta infondatezza del regolamento di competenza, respinge l’istanza e
provvede sulle spese di giudizio; in caso contrario dispone che gli atti siano
immediatamente trasmessi al Consiglio di Stato».
Art.
10. Esecuzione di sentenze non sospese dal Consiglio di Stato o dalla Corte dei
Conti.
1. All’articolo
33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è aggiunto il seguente comma:
«Per
l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato il tribunale
amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza
al giudicato di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico
delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924,
n. 1054, e successive modificazioni».
2.
La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel giudizio innanzi alle
sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti per l’esecuzione delle
sentenze emesse dalle sezioni medesime e non sospese dalle sezioni
giurisdizionali centrali d’appello della Corte dei conti; per l’esecuzione
delle sentenze emesse da queste ultime provvedono le stesse sezioni
giurisdizionali centrali d’appello della Corte dei conti.
3.
Ad eccezione di quanto disposto dall’articolo 105, primo comma, del
regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato
con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, la disposizione di cui al comma
1 si applica anche nei giudizi innanzi alle sezioni giurisdizionali centrali
d’appello della Corte dei conti. È abrogato l’articolo 105, secondo comma,
del citato regolamento approvato con regio decreto n. 1038 del 1933.
Art.
11. Rinvio delle controversie al tribunale amministrativo regionale.
1.
Il quarto comma dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è
sostituito dal seguente:
«In
ogni caso di rinvio, il giudizio prosegue innanzi al tribunale amministrativo
regionale, con fissazione d’ufficio dell’udienza pubblica, da tenere entro
trenta giorni dalla comunicazione della sentenza con la quale si dispone il
rinvio. Le parti possono depositare atti, documenti e memorie sino a tre giorni
prima dell’udienza».
Art.
12. Mezzi per l'effettuazione delle notifiche.
Il
presidente del tribunale può disporre che la notifica del ricorso o di
provvedimenti sia effettuata con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via
telematica o telefax, ai sensi dell’articolo 151 del codice di procedura
civile.
Art.
13.Obbligo di permanenza nella sede di nomina per i Presidenti di Sezione del
Consiglio di Stato e per il presidenti dei Tribunale amministrativi regionali.
1. All’articolo
21 della legge 27 aprile 1982, n. 186, dopo il quarto comma, è inserito il
seguente:
«La
nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato e quella a presidente di
tribunale amministrativo regionale comportano l’obbligo, per il nominato, di
permanere nella sede di assegnazione per un periodo non inferiore a tre anni,
salvo il caso di trasferimento d’ufficio disposto in applicazione delle norme
in materia. Per lo stesso periodo non è consentito il collocamento fuori ruolo
del magistrato. La nomina può non essere disposta nei confronti di magistrati
il cui periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per
raggiunti limiti di età, sia inferiore a tre anni dalla data di conferimento
dell’incarico».
Art.
14.Aumento dell'organico dei magistrati e del personale amministrativo.
1.
A decorrere dal 1º gennaio 2001, nella tabella A allegata alla legge 27 aprile
1982, n. 186, il numero dei presidenti di sezione del Consiglio di Stato è
aumentato di tre unità, quello dei consiglieri di Stato di dieci unità, quello
dei referendari dei tribunali amministrativi regionali di sessanta unità.
2.
A decorrere dalla stessa data di cui al comma 1, la dotazione organica del
personale amministrativo del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi
regionali è aumentata nella misura complessiva di quaranta unità, da ripartire
tra le sedi interessate dagli aumenti di cui al medesimo comma 1.
3.
Per le finalità di cui al presente articolo è autorizzata la spesa di lire
16.600 milioni annue a decorrere dall’anno 2001.
Art.
15. Pubblicità dei parei del Consiglio di Stato.
I
pareri del Consiglio di Stato sono pubblici e recano l’indicazione del
presidente del collegio e dell’estensore.
Art.
16. Integrazione dell'istruttoria mediante consulenza tecnica.
Al
primo comma dell’articolo 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive
modificazioni, sono aggiunte, in fine, le parole: «, ovvero disporre consulenza
tecnica».
Art.
17. Ufficio del segretariato generale della giustizia amministrativa.
1.
L’articolo 4 della legge 27 aprile 1982, n. 186, è sostituito dal
seguente:
«Art.
4. - (Ufficio del segretariato generale della giustizia amministrativa). –
1. L’ufficio del segretariato generale è composto dal segretario generale
nonchè, con competenza per i rispettivi istituti, dal segretario delegato per
il Consiglio di Stato e dal segretario delegato per i tribunali amministrativi
regionali.
2.
Il segretario generale e i segretari delegati assistono il presidente del
Consiglio di Stato nell’esercizio delle sue funzioni e svolgono, ciascuno per
le proprie competenze, gli altri compiti previsti dalle norme vigenti per il
segretario generale del Consiglio di Stato.
3.
L’incarico di segretario generale è conferito ad un consigliere di Stato,
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
presidente del Consiglio di Stato, sentito il consiglio di presidenza.
4.
Gli incarichi di segretario delegato sono conferiti dal presidente del
Consiglio di Stato, sentito il consiglio di presidenza, rispettivamente ad un
consigliere di Stato e ad un consigliere di tribunale amministrativo regionale.
5.
Gli incarichi, salvo provvedimento motivato di revoca, cessano al compimento
di cinque anni dal conferimento e non sono rinnovabili.
6.
In caso di assenza o di impedimento, i segretari sono sostituiti, con
provvedimento del presidente del Consiglio di Stato, da altro magistrato
incaricato di esercitarne temporaneamente le funzioni.
7.
Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo si provvede nei
limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio».
Art.
18. Modificazione della composizione del consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa.
1. L’articolo
7 della legge 27 aprile 1982, n. 186, è sostituito dal seguente:
«Art.
7. - (Composizione del consiglio di presidenza) – 1. In attesa del
generale riordino dell’ordinamento della giustizia amministrativa sulla base
della unicità di accesso e di carriera, con esclusione di automatismi collegati
all’anzianità di servizio, il consiglio di presidenza è costituito con
decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri. Esso ha sede in Roma, presso il Consiglio di Stato, ed è
composto:
a)
dal presidente del Consiglio di Stato, che lo presiede;
b)
da quattro magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato;
c)
da sei magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali;
d)
da quattro cittadini eletti, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato
della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i
professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con
venti anni di esercizio professionale;
e)
da due magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di
supplenti dei componenti di cui alla lettera b);
f)
da due magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali, con
funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera c).
2.
All’elezione dei componenti di cui alle lettere b) ed e) del
comma 1, nonchè di quelli di cui alle lettere c) e f) del
medesimo comma, partecipano, rispettivamente, i magistrati in servizio presso il
Consiglio di Stato e presso i tribunali amministrativi regionali, senza
distinzione di categoria, con voto personale, segreto e diretto.
3.
I componenti elettivi durano in carica quattro anni e non sono
immediatamente rieleggibili.
4.
I membri eletti che nel corso del quadriennio perdono i requisiti di
eleggibilità o si dimettono, o cessano per qualsiasi causa dal servizio oppure
passano dal Consiglio di Stato ai tribunali amministrativi regionali o
viceversa, sono sostituiti, per il restante periodo, dai magistrati appartenenti
al corrispondente gruppo elettorale che seguono gli eletti per il numero dei
suffragi ottenuti.
5.
I componenti di cui al comma 1, lettera d), non possono esercitare
alcuna attività suscettibile di interferire con le funzioni del Consiglio di
Stato e dei tribunali amministrativi regionali. Ad essi si applica il disposto
dell’articolo 12 della legge 13 aprile 1988, n. 117.
6.
I membri supplenti partecipano alle sedute del consiglio di presidenza in
caso di assenza o impedimento dei componenti effettivi.
7.
Il vice presidente, eletto dal consiglio tra i componenti di cui al comma 1,
lettera d), sostituisce il presidente ove questi sia assente o impedito.
8.
In caso di parità prevale il voto del presidente».
2. In
sede di prima applicazione, i componenti di cui all’articolo 7, comma 1,
lettera d), della legge 27 aprile 1982, n. 186, come sostituito dal
comma 1 del presente articolo, entrano a far parte del consiglio di presidenza
in carica alla data di entrata in vigore della presente legge. Il mandato cessa
alla scadenza del consiglio stesso.
3.
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge si applicano,
in quanto compatibili, al consiglio di presidenza della Corte dei conti le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2.
4.
Per le finalità previste dal comma 1, è autorizzata la spesa di lire 470
milioni annue per l’anno 2000 e di lire 940 milioni annue a decorrere
dall’anno 2001.
Art.
19. Carichi di lavoro dei magistrati.
1.
Al primo comma dell’articolo 13 della legge 27 aprile 1982, n. 186, dopo
il numero 6) è aggiunto il seguente:
«6-bis)
determina i criteri e le modalità per la fissazione dei carichi di lavoro dei
magistrati».
Art.
20. Autonomia finanziaria del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi
regionali.
1. Alla
legge 27 aprile 1982, n. 186, dopo l’articolo 53 è inserito il seguente:
«Art.
53-bis. - (Autonomia finanziaria del Consiglio di Stato e dei tribunali
amministrativi regionali). – 1. A decorrere dall’anno 2001 il consiglio
di presidenza della giustizia amministrativa provvede all’autonoma gestione
delle spese relative al Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi
regionali nei limiti di un fondo iscritto in apposita unità previsionale di
base denominata “Consiglio di Stato e tribunali amministrativi regionali“,
nell’ambito del centro di responsabilità “Tesoro“ dello stato di
previsione della spesa del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica. Il bilancio preventivo ed il rendiconto sono trasmessi
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e sono
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
2.
Il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa disciplina
l’organizzazione, il funzionamento e la gestione delle spese del Consiglio di
Stato e dei tribunali amministrativi regionali».
Art. 21. Estensione ai magistrati amministrativi della facoltà prevista dall'art.7, comma 1, della legge 21 febbraio 1990, n. 36, per i magistrati dell'ordine giudiziario.
1.
La disposizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 7 della legge 21 febbraio
1990, n. 36, si applica anche nei confronti dei magistrati amministrativi
di cui alla legge 27 aprile 1982, n. 186, nonchè dei magistrati della
Corte dei conti.
Art.
22. Copertura finanziaria.
1.
All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in lire
470 milioni per l’anno 2000 ed in lire 17.540 milioni annue a decorrere dal
2001, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto,
ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell’ambito dell’unità
previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di
previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica per l’anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a lire
470 milioni per l’anno 2000, l’accantonamento relativo al Ministero del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica; quanto a lire 15.800
milioni per gli anni 2001 e 2002, l’accantonamento relativo al Ministero del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica; quanto a lire 31 milioni
ed a lire 1.740 milioni, rispettivamente, per gli anni 2001 e 2002,
l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia; quanto a lire 639
milioni per l’anno 2001 l’accantonamento relativo al Ministero dei trasporti
e della navigazione; quanto a lire 1.070 milioni per l’anno 2001
l’accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole e forestali.
2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.